Italian:

TRA MENTE E MATERIA


Proprio come un grande cantante riesce a usare la voce al massimo del volume o nel più evanescente dei pianissimi, così Kan Yasuda riesce a trasmettere la gamma completa di emozioni scultoree in modo altrettanto convincente sia attraverso l’esplorazione della massa scultorea potentemente espansiva sia attraverso modulazioni formali tenere, quasi impercettibili.
È persuasivo sia a pieno volume sia quando sussurra.

La pace accogliente dei giardini di Villa La Versiliana a Pietrasanta permetteva di percepire pienamente, nella tranquillità, la scala espressiva di Yasuda.
Tuttavia serberà sempre nel cuore l’effetto mozzafiato delle sue sculture in una mostra a Milano. Molte sue opere monumentali furono installate in punti strategici su tutta la lunghezza di corso Vittorio Emanuele II, una delle arterie più trafficate e più rumorose della città.
Con naturalezza e senza drammaticità superficiale, ogni opera aveva una presenza autoritaria che dominava il trambusto metropolitano di Milano, dal Duomo a San Babila.
Le sculture erano parte della scena movimentata e tuttavia si innalzavano serenamente al di sopra del rumore, della confusione e della folla.
Erano altrettanto disponibili per coloro che desideravano contemplarle in quel genere di isolamento meditativo descritto in modo così toccante nelle più belle poesie di Leopardi.
Erano assolutamente conformi alla pretesa di Baudelaire che l’arte appartenga al suo tempo e luogo poiché la loro forma espressiva era chiaramente correlata agli ultimi anni o al XX secolo.
Eppure contestualmente, mentre ti avvicinavi, ogni scultura parlava a te e a te soltanto con una pacata intimità che ti faceva dimenticare il tempo e lo spazio.

Si è tentati di interpretare l’opera di un artista giapponese trapiantato in Italia alla luce delle due tradizioni molto diverse che dominano la sua sensibilità.
Ma si deve fare attenzione, perché l’arte giapponese non ha una tradizione di scultura in pietra o in metallo di grande formato.
Le motivazioni essenziali alla base della scultura europea — il desiderio di esprimere l’eternità, di trasmettere alle generazioni future valori comunemente condivisi per mezzo di immagini “senza tempo” — sono aliene ai concetti giapponesi di scultura.
Il senso di oltraggio e di perdita provato dagli occidentali quando la Pietà di Michelangelo fu lievemente danneggiata non trova riscontro nell’atteggiamento giapponese nei confronti della scultura. Nelle opere di Yasuda, l’elemento giapponese — per quanto importante — ha poco a che fare con l’effettiva incisione o modellazione, ma diventa determinante per il modo in cui le sculture ultimate esigono di essere viste.

Malgrado tutto il loro fascino sensuale — ed è giusto apprezzare pienamente questo aspetto dell’arte di Yasuda — le sue sculture richiedono qualcosa che va oltre il senso della vista o il senso del tatto, oltre l’intelligenza critica.

Ci domandano di assorbirle, di ricrearle nella nostra memoria. Solo quando riusciamo a staccarci dalla presenza fisica della scultura senza perderne il ritmo, l’inflessione, le pressioni e le espansioni, iniziamo a comprenderla nel modo voluto dalle tradizioni del background spirituale e intellettuale di Yasuda.
Per Michelangelo e per le generazioni di scultori che ne raccolsero l’eredità, la forma scultorea doveva essere scoperta nella pietra.
Era privilegio dell’artista percepire la forma nascosta e suo obbligo eliminare la pietra superflua.

Per lo scultore moderno non esiste pietra superflua, né forma prestabilita e nascosta nel blocco.
Nel regno della scultura moderna, il materiale è un protagonista imprescindibile.
A partire da Canova, la forma scultorea espressiva o ideale nasce dalla lotta complicata, spesso misteriosa, tra l’intuito dello scultore e l’insistenza della pietra sul proprio carattere.
Nel lavoro di Yasuda, il bisogno di soddisfare le esigenze e le urgenze della sua visione personale e il bisogno contrastante della pietra di mantenere il proprio valore, la propria vita, sono perfettamente riconciliati.

Questa riconciliazione non porta tuttavia alla risoluzione statica di un climax e di una fine ma ad un’armonia di forze contrapposte tenute in sospensione.
A differenza della prosa, la scultura non conosce momento climax e fine.
La riconciliazione delle forze contrastanti nelle sculture di Yasuda è fatta di equilibrio dinamico e di tensioni perfettamente controbilanciate.
Ishinki (Il conscio appartiene al subconscio) è un valido esempio della stupefacente capacità dello scultore di bilanciare armoniosamente una straordinaria drammatizzazione visiva e un eccezionale senso di serenità.
La caverna intagliata nella pietra conserva carattere, forma ed espressione distinte dalla massa scultorea circostante, producendo così forti tensioni tra vuoto e volume.
L’impressione finale tuttavia è quella di una riconciliazione di opposti.
La pietra abbraccia il vuoto, Il vuoto risponde dando flessibilità e vita alla massa.

Forse la più succinta, la più emblematica delle sculture di Yasuda è Tensei (Apprezzamento celeste) che, come la maggior parte dei fenomeni apparentemente semplici, è un’opera misteriosa e complessa.
Quattro pezzi di pietra squadrata formano un rettangolo in verticale che racchiude un vuoto rettangolare: solo il vuoto, pur mantenendo il suo carattere di vuoto, viene eternamente riempito dalla vita che cresce, cambia e si sposta alle sue spalle.
Il rettangolo di pietra assolve un ruolo di cerniera, che funziona agevolmente sia in relazione all’esterno che a ciò che racchiude.
Considerato in relazione allo spazio esterno alla cornice, Tensei si presenta come un oggetto austero, statico, cristallino, che proclama la sua presenza in gran parte come il paesaggio circostante.
Visto in relazione a ciò che è contenuto all’interno della cornice di pietra, assume una funzione completamente diversa.
Qualunque cosa venga catturata nei confini della cornice si compone istantaneamente e automaticamente in un’immagine stabile, poiché è forzato dalla nostra percezione ad adeguarsi ai limiti orizzontale-verticale definiti dalla cornice.

Ciò che sta all’interno riceve un centro e una periferia.
Ciò che è esterno è senza centro, senza coordinate e senza limiti. La scultura media tra il mondo dell’ordine e i rapporti fissi all’interno della cornice e il mondo della natura esuberante ma amorfa all’esterno. Tensei, come tutta la scultura di Yasuda, è in sospensione tra materia e mente, tra legge e anarchia, tra organico e cristallino.

Una scultura che occupa uno spazio pubblico deve giustificare la sua presenza.
Anche se non possiamo più accettare i messaggi superficiali dei monumenti retorici che decorano le nostre piazze (e la cui tragica vacuità è espressa in modo così toccante da molti dei più bei dipinti di De Chirico), siamo ancora giustificati a esigere un significato da portare con noi quando lasciamo la presenza di una scultura monumentale.
Nel caso della scultura di Yasuda, quel significato non è facilmente esprimibile in parole. Joseph Conrad dice di uno dei suoi personaggi: “Per lui il significato di un episodio non andava cercato all’interno, nel gheriglio, ma all’esterno, in ciò che avviluppando il racconto finiva col rivelarlo come la luce rivela la foschia, allo stesso modo in cui l’illuminazione spettrale del chiaro di luna rende a volte visibili gli aloni nebulosi.”

Il significato delle sculture di Yasuda è nel cambiamento che il contemplarle ha operato dentro di noi.
Il significato delle sculture di Yasuda è un nuovo alone di gioia e tranquillità che da esse si irraggia e che persiste a lungo, anche dopo essere ritornati alle consuete preoccupazioni che costituiscono la nostra vita quotidiana.

Fred Licht








English:

KAN YASUDA


Just as a great singer can use his voice at full volume or
at the most disembodied of pianissimi,
so Kan Yasuda can convey the full range of sculptural emotions both
by the exploitation of powerfully expansive sculptural mass
as convincingly as by tender,
almost imperceptible formal modulations.
He is as persuasive at full volume as when he whispers.

In the welcoming tranquility of the Versiliana his expressive range
can be fully experienced in tranquility.
Yet I will always treasure the breathtaking effect his sculptures had
during an exhibition in Milan.
A large number of his monumental works was installed
at pivotal points along the full length of Corso Vittorio Emanuele,
one of the busiest, noisiest thoroughfares of the city.
Effortlessly and without superficial dramatics each sculpture had
an authoritative presence that dominated Milan’s urban turmoil
from Duomo to San Babila.

The sculptures were participants of the vivacious scene yet simultaneously
they rose serenely above the noise and the confusion of the crowd.
They were equally available to those
who enjoyed their suave beauty as part of a cheerful street scene
as they were to those who wished to contemplate them
in the kind of meditative isolation so movingly described
in Leopardi’s best poems.
They fully complied with Baudelaire’s demand
that art belong to its time and place.
Their expressive form was clearly related
to the last years of the 20’h century.
Yet at the same time, as you stepped closer,
each sculpture spoke to you and you alone
with a tranquil intimacy that made you forget the here and the now.

It is tempting to interpret the work of a Japanese artist
transplanted to Italy in the key of the two very different traditions
that dominate his sensibilities.
Yet we must be careful because Japanese sculpture has
no tradition of large scale stone or metal sculpture.
The essential motivations behind monumental European sculpture,
the desire to express timelessness,
to transmit to future generations communally shared values
by means of “eternal” images is alien to Japanese concepts of sculpture.

The sense of outrage and loss we experienced
when Michelangelo’s “Pietà” was very slightly damaged has no counterpart
in Japanese attitudes to sculpture.
The Japanese element – and it is an important one –
in Yasuda’s sculptures has relatively little to do with the actual carving
or modeling of his works but it becomes decisive
in how the finished sculptures demand to be seen.
For all their sensuous appeal
– and we are right to enjoy to the full this aspect of Yasuda’s art –
these sculptures require more than the sense of sight or the sense of touch,
more than critical intelligence.

Yasuda’s sculptures demand that we absorb them,
that we recreate them in our memory.
Only when we can detach ourselves from the sculpture’s physical presence
without losing its rhythm,
its inflection, its pressures and expansions have
we begun to understand it in the manner intended
by the traditions of Yasuda’s spiritual and intellectual background.

For Michelangelo and for the generations of sculptors
that followed in his wake,
sculptural form was to be discovered within the stone.
It was the artist’s privilege to perceive the hidden
form and it was his obligation to remove the superfluous stone.
For the modern sculptor there is no such thing as superfluous stone,
nor is form preestablished and concealed within the block.
In the realm of modern sculpture,
the material is an essential protagonist.
Ever since Canova, expressive or ideal sculptural
form is born of the complicated,
often mysterious contest between the sculptor’sintuition
and the stone’s insistence on its own character.
In Yasuda the need to satisfy the exigencies and urges of his own vision
and the opposing need of the stone to maintain its own value,
its own life are perfectly reconciled.

This reconciliation however,
does not lead to the static resolution of a climax and an end
but to a harmony of opposing forces that is kept in suspense.
Unlike prose, sculpture knows of no climax and of no end.
The reconciliation of contrasting forces in Yasuda’s sculptures is
one of dynamic balance
and perfect equilibrated tensions.

“Ishinki” (“Rock”) is a good example of Yasuda’s astonishing ability
to balance harmonically great visual drama
with a great sense of serenity.
The cavern carved into the stone maintains its own character,
shape and expression in distinction to the surrounding mass of the sculpture,
thus producing strong tensions between void and volume.
Yet the ultimate impression is one of reconciliation of opposites.
The stone embraces the void.
The void responds by giving the mass flexibility, life.

Perhaps the most succinct,
the most emblematic of Yasuda’s sculptures is “Tensei”
and like most apparently simple phenomena,
“Tensei” is a mysterious and complex work.
Four square-cut pieces of stone form an upright rectangle
that encloses a rectangular void…..
only the void, though it maintains its character as void,
is perpetually filled by the life that grows, changes, moves behind it.
The stone rectangle acts like a hinge:
it functions just as smoothly in relation to
what is outside it as it does to what it encloses.
Regarded in relation to the space outside the frame,
“Tensei” presents itself as an austere, static, crystalline object
that proclaims its presence much as the landscape around it does.
See in relation to what is inside the stone frame
it takes on a different function altogether.
Whatever is captured within the confines of the frame instantly
and automatically composes into a stable image
since it is forced by our perception to adjust
to the horizontal-vertical limits set by the frame.
What is inside the frame receives a center and a periphery.
What is outside the frame is without center,
without coordinates and without limits.
The sculpture mediates between the world of order
and fixed relationships within the frame
and the world of exuberant but amorphous nature outside.
“Tensei” like all of Yasuda’s sculpture is in suspense between matter and mind,
between law and anarchy, between organic and crystalline.

A sculpture that occupies public space must justify its presence.
Though we can no longer accept the superficial messages
of the declamatory monuments that decorate our squares
(and whose tragic ineffectiveness is so movingly expressed
by many of de Chirico’s best paintings)
we are still justified in demanding a meaning
which we may carry with us
when we leave the presence of a monumental sculpture.
In the case of Yasuda’s sculpture that meaning is not easily expressed in words.
Joseph Conrad says of one of his characters

“….to him the meaning of an episode was not inside like a kernel [in a cracked nut]
but outside, enveloping the tale which brought it out only as a glow brings out a haze
in the likeness of one of these misty halos that sometimes are made visible
by the spectral illumination of moonshine.”

The meaning of Yasuda’s sculptures is in the change
that has been wrought within us by the contemplation of his sculpture.
The meaning of Yasuda’s sculptures is in a new shade of cheer and tranquility
that radiates from the sculpture and that persists long
after we have returned to the routine concerns that make up our daily life.

Fred Licht
Curator, Guggenheim Museum, Venice

 

ISHINKI, Kan Yasuda materia eterea, Villa La Versiliana, Pietrasanta, Italy

ISHINKI “Kan Yasuda materia eterea”, Villa La Versiliana, Pietrasanta, Italy Photo by Romano Cagnoni