"Toccare il Tempo"
nei Mercati di Traiano, a Roma
"Toccare il Tempo". Si può "toccare" il tempo? Il titolo della mostra di sculture di Kan Yasuda è estremamente suggestivo. Poetico. Immateriale. Evocativo.
Razionalmente, inaccetabile: il verbo "toccare" indica un'azione rivolta a qualcosa di tangibile, mentre il tempo è, per eccelenza, immateriale. Allora, questa associazione tra un verbo materiale e una dimensione intoccabile indica un rapporto di comunicazione, di superamento di un confine.
Resta l'interrogativo iniziale, e ci si chiede la ragione profonda che ha spinto il maestro Kan Yasuda a scegliere questo titolo. E quali potranno essere le risposte dell'artista, e dei suoi diretti interlocutori, ovvero i visitatori che saranno attaratti, o, anche respinti, da questa immagine.
Innanzitutto, la provenienza dell'artista. Il maesto Kan Yasuda viene dal Giappone e ha ambientato le sue opere nei giardini verdi e azzuri del lontano Paese del Sole. Il contesto, quindi, sono gli spazi della natura senza età, senza tempo: il suolo della madre terra sulla quale sono poggiati pesante "sassi" di metallo argento, gli specchi immobili d'acqua sui quali si riflettono ciottoli candidi e levigati, i tappeti erbosi estesi fino all'orizzonte e tagliati verticalmente da stradine bianche che portano a strutture squadrate monumentali, ma aperte di nuovo sul verde infinito. Terra-cielo, elementi senza tempo.
Gli spazi chiamano le forme. E le opere sono forme pure, arrotondate, terse, levigate dal tempo, rese incontaminate dal tempo che scorre su di esse; o squadrate, dure, angolose, come le masse monolitiche della terra, ma provviste di aperture, strette fessure o finestre allungate, che liberano la materia nello spazio, ne sprigionano l'essenza dal blocco chiuso. Si alternano il colore bianco del marmo, e il colore scuro del metallo, reso luce brillante, e accecante, dai raggi del sole.
Toccare la superfice delle opere permette di percepire la consistenza della materia, il lavoro dell'uomo; sedersi o sdraiarsi su alcune di esse fa sentire il rapporto fisico tra il nostro corpo e le linee che la materia ha preso, plasmata dall'artista.
Per trovare il candore del marmo statuario, Kan Yasuda si è recato a Pietrasanta, nella zona dove la materia preesistente all'uomo viene estratta e lavorata dall'uomo per diventare oggetto. E il paesaggio e la materia del Paese del Sole occidentale hanno prodotto altre forme, altri legami corporei tra la forma e lo spazio e, sopratutto, tra lo spazio, che diventa luogo, e l'uomo.
Le sculture sono sempre ideate per essere all'aperto: ma dalla dimensione unica della natura in Giappone, l'artista passa a concepire le opere per i contesti abitativi: in Italia, lo spazio è antropologizzato, l'uomo è il centro dell'universo e ha costruito le città. Le "sculture all'aperto", dunque, divengono "sculture nell città". E le città maggiormente emblematiche in Italia sono: Firenze, il centro per eccelenza dell'architettura e della cultura del Rianscimento, l'età dell'Uomo. E Roma, l'urbe, la città degli imperatori e dei papi, la città su cui tutti misurano se stessi solo quando sono nella piena maturità, e si sentono pronti tanto da non esserne schiacciati.
E, a Roma, le opere di Kan Yasuda vengono accolte nei Mercati di Traiano, nel complesso di edifici che si alza dal livello del suolo verso il cielo, adagiandosi sulle pendici del Quirinale e nascondendo con le ardite soluzioni architettoniche il taglio nella roccia operato dai Romani per ottenere altro spazio per il monumentale Foro di Traiano. Uno spazio mutato, dunque, prepotentemente adattato e modellato dagli antichi, in funzione dello spazio pubblico per eccellenza degli uomini, il foro.
Infine, il contesto della mostra: i Mercati di Traiano a Roma. Kan Yasuda non ha voluto critici che parlino della mostra. Ha voluto il lugo: i Mercati di Traiano. Il complesso di edifici, che si articola su sei livelli secondo una disposizione altovolumetrica movimentata in forme emisferiche e squadrate, è aperto verso la città e comunica con essa. Scomposto, trasformato, rifunzionalizzato, riaggregato, ora restaurato secondo le metodologie più moderne, ma con le tecniche e i materiali delle maestranze romane, è sempre stato parte del contesto urbano. Ha attraversato il tempo, ne è stato toccato, lo ha toccato. Ed è diventato punto di riferimento spaziale e concettuale per l'arte di questo tempo.
Peter Erskin ha giocato con la luce sulle sue murature, spezzandola in arcobaleni sul rosso dei laterizi; Anthony Caro ha inserito le sue opere negli ambienti secondo il criterio di continuità tra gli spazi e le forme; Richard Serra ha isolato volumi pieni e squadrati nello spazio monumentale della Grande Aula; Eliseo Mattiazzi ha riprodotto lr volte e le concavità dell'architettura romana con sfere sospese e sparse sul suolo; Igor Mitoraj ha esposto statue colossali antiche ridotte a frammenti tra le architetture frammentate dal tempo; Christoph Bergmann ha proiettato nel futuro figure di dei di uomini del passato.
E ora, Kan Yasuda. Che ha collocato le sue sculture, dai nomi che richiamano il tempo racchiuso in scatole, contenitori, gocce, lungo il percorso esterno che si snoda dal livello del Foro di Traiano al piano del Giardino delle Milizie, facendo attenzione che comunichino con il monumento, tra loro, con la città.
Ogni posizionamento di opera ha richiesto tempo, e cura. La scultura non era solo "allestita"; doveva entrare in simbiosi con lo spazio, dovveva rapportarsi con gli orizzonti, doveva seguire, costruire e intrecciare assi visibi. Il maestro aveva presentato più progetti espostivi, nel tempo; e nel corso d'opera ha avuto ripensamenti, ha isolato opere, ha cercato la disposizione chiastica e asimmetrica, lineare e frazionata in piani, varia, mutevole, ma ferma e assoluta nell'interrelazione con il luogo.
Uno degli spazi privilegitati è, significativamente, la strada, creazione dell'uomo destinata a superare il tempo. Il monolite Uomo e terra emerge dai basoli della via Biberatica antica, come una creatura primordiale, del tempo in cui non esisteva ancora la figura, ma solo la forma, ovaleggiante e convessa come la forma dei basoli di lava. La stele mossa da concavità Nascita, posta all'angolo sud della via basolata che divide il Grande Emiciclo dal Foro di Traiano, è orientata in modo da accogliere, come nel grembo materno, la luce generatrice del Sole e la luce fredda della luna. Le due candide porte Tensei/Tenmoku inquadrato l'asse rettilineo della moderna via Alessandrina e suggeriscono al passante la sosta, il passaggio, la fotografia al compagno incorniciato entro quella aperta, così fissato nella memoria.
Un altro spazio importante è la terrazza, che si affaccia sul monumento e sulla città, e che accoglie opere che a loro volta accolgono il visitatore, lo invitano al passaggio attraverso le loro aperture illusorie in uno spazio sempre esterno, aperto sui diversi lati verso la città: Chiave del sogno, Porta del ritorno, Ascoltare sono volontariamente visibili da ogni angolazione e da ogni livelli, e rifrangono la luce sulle superfici levigate e brillati.
Infine, l'interno. Sempre inteso come un'apertura verso l'esterno. Nel blocco squadrato dell'opera Niente esiste è riprodotta la forma della taberna in cui essa è marmo nero del Belgio in cui e' realizzata assorbe I colori del buio, evocato dalla scala che sale dalla cantina rinascimentale, e si trasmette nella mancanza di luce degli incavi, per essere infine catturato dalle fessure nell'opera e respinto, disperoso verso l'esterno, nella luce, nel tempo.
Allora, si può rispondere alla domanda iniziale "Si può toccare il Tempo?" ai Mercati di Traiano, con le opere di Kan Yasuda, sì.
Lucrezia Ungaro
Direttrice, Museo dei Fori Imperiali
2007